Il primo viaggio in Giappone è stato davvero memorabile, infatti ne conservo ancora il ricordo in modo molto vivo. Una premessa su cosa significava all’epoca fare un viaggio in terra nipponica è d’obbligo, non solo per il fatto che il turismo verso mete asiatiche fosse ancora abbastanza raro, ma per il semplice motivo che oltre ad esserci molte meno informazioni rispetto ad adesso, internet non esisteva, quindi per reperire le informazioni si doveva letteralmente uscire di casa per andare a prendersele!
L’unico modo era tramite le poche guide da viaggio disponibili in libreria, un po’ di informazioni da compagni o professori che c’erano già stati e in ultimis ma non per ordine di importanza l’agenzia di viaggi è stata assolutamente vitale per tutte le informazioni pratiche per il volo, mappe, varie guide su cultura e folklore.
Tralasciando questi dettagli che a certuni faranno sorridere e ad altri faranno venire la nostalgia, il mio piano ideale di viaggio era di fare una permanenza in famiglia a Tokyo e di girare il Giappone con il Japan Rail Pass in tutto per un totale di un mese e mezzo.
E cosi fu!
Il volo Aeroflot con cambio a Mosca, quando ancora aveva una cattiva fama, sano e salvo dopo 17 ore di volo, arrivai all’aeroporto di Narita già felice di aver realizzato il mio sogno.
Mi venne a prendere un’amica di amici, la quale conosceva direttamente la famiglia ospitante.
Direzione Shibuya, una zona come un’altra. Questo nome non mi diceva niente, in quanto, nonostante esistesse già l’incrocio, che poi divenne celebre con il nome “Shibuya Scramble Crossing” non era ancora per niente conosciuto.
Durante il tragitto da Narita a Tokyo scrutai il panorama fuori dai finestrini e rimasi sopreso e un po’ deluso allo stesso tempo, vedendo che ci fossero cosi tante abitazioni attaccate una all’altra con pochi stacchi di verde. E anche la vista di così tanti pali della luce intrecciati mi lasciò alquanto stranito. Arrivati a Shibuya, si scorgeva il trambusto di macchine, persone, suoni, con lo sfondo di palazzoni, ristoranti e negozi ma per noi c’era ancora una fermata con un cambio di metro. E arrivammo in una zona completamente tranquilla, sembrava quasi di essere in campagna. Dalla stazione della metro alla casa avremo incrociato un bel numero di distributori per le bibite. Ci sarebbe da dedicare un articolo intero per questo.
Arrivati! C’era un gran cortile, un grande ingresso centrale davanti, con sopra un tetto tipico orientale e una porta laterale.
L’emozione era alle stelle. Cercavo di preparare mentalmente i saluti e le cose da dire, imparati in un anno di lingua giapponese all’IsMEO di Milano.
Aprimmo la porta centrale e suonò un campanello interno che segnalava il nostro arrivo. Spuntarono fuori uno ad uno i membri della famiglia ospitante per accogliermi : mamma, papà, 4 figli, e altri loro ospiti.
“Konnichiwa, Luca desu. Hajimemashite, doozo yoroshiku onegaishimasu.”
Buongiorno, sono Luca. Piacere di conoscervi.
Mi guardarono tutti con un gran sorriso dicendo : “oh! Nihongo ga joozu desu ne!”. Oh, come parli bene giapponese!
Anche loro erano emozionati nell’incontrarmi, sembrava che mi aspettassero da tempo. Parlammo ancora del viaggio qualche minuto.
La nostra prima conversazione si concluse lì e prima di accompagnarmi alla mia stanza mi mostrarono velocemente la casa. Una grandissima casa tradizionale giapponese in legno a due piani con uno grande spazio per pregare al primo piano.
Mentre le camere erano tutte sopra. Ovviamente tutte le porte di legno e carta erano scorrevoli. Mi sentivo in un film di Kurosawa.
Aprii la porta scorrevole. E appena vidi che la stanza era di tatami, il primo impatto fu : “Non c’e’ il letto?! Ma dove dormirò?”
La mamma giapponese tiro’ fuori dall’armadio a muro “Oshiire” un futon.
Sul tatami spiegò il futon. La stanchezza del viaggio e del fuso orario cominciavano a farsi sentire.
Mi accasciai nel morbido futon e notai che la stanza era tutta completamente di legno, carta e paglia, infatti il tatami è fatto di paglia intrecciata, e odorando questa miscela di odori prima di addormentarmi furono due i pensieri che mi vennero alla mente:
- “Che belle persone che sto incontrando, tutte sorridenti, che parlano in modo così garbato e pacato. Mi sento in sintonia con questo tipo di persone. Farò sicuramente una gran bella esperienza”.
- “Nonostante percepisca questa familiarità, mi trovo proprio dall’altra parte del mondo.
E non in senso figurato. Ricordai di aver guardato tempo fa sul mappamondo la posizione del Giappone e dell’Italia.
Mi sembrava proprio che se ci fosse stato un tunnel da dove ero in quel momento sprofondato nel futon probabilmente dall’altra parte si arrivati in Italia”. Mi addormentai profondamente e mi risvegliai che era ora di cena. Ma questa è un’altra storia.
Questo primo viaggio a 22 anni, organizzato da solo, in un Giappone ancora ignoto al turismo di massa, è stato formativo sotto molti punti di vista. E non avrei mai immaginato cosa sarebbe successo negli anni successivi, anche se cominciavo a scoprire vari punti in sintonia con questo Paese che mi portarono a decidere di andare a viverci.
In ogni caso, prima di partire per il Giappone, sia per turismo, studio, lavoro o altro la cosa che consiglio a tutti, in quanto io stesso ho fatto così, è di imparare il più possibile la lingua, perché una volta sul posto gli incontri con le persone, le esperienze daranno adito a una moltiplicità di sviluppi che si amplificheranno anche di intensità.
Alcuni degli studenti di Eurasia Language Academy dopo un corso di lingua curriculare di un anno o due hanno deciso poi di trasferirsi in Giappone, per studiare o lavorare. E ogni volta riconoscendomi in loro ritornano alla mente quegli anni memorabili.
Eurasia Language Academy e il suo team realizza corsi di giapponese in cui si impara fin da subito a comunicare e si viene immersi in un vortice di apprendimento. Ci auguriamo che diventi anche per te l’occasione per trasformare un interesse in una passione che sicuramente cambierà la tua vita.
Luca Saccogna